Prendiamoci il futuro! Per i molti, non per i pochi.
La condizione giovanile in Italia è una vera e propria emergenza sociale che mette seriamente a repentaglio il futuro delle nuove generazioni e del paese intero. Un giovane su dieci vive in condizioni di povertà assoluta (fonte: Caritas): nel 2007 era un giovane su 50. Oggi i giovani sono coloro che vivono più frequentemente nella povertà assoluta, e la povertà cala gradualmente all’aumentare dell’età.
La disoccupazione e precarietà lavorativa giovanile è la prima causa di questo fenomeno: se fra il 2000 ed il 2016 l’occupazione della fascia fra 55 e 64 anni è aumentata del 23%, e quella dell’età di mezzo è rimasta stabile, l’occupazione giovanile è diminuita dell’11% (fonte: OECD).
Le conseguenze di questa precarietà economica si riverberano su ogni aspetto della vita delle giovani generazioni: se manca un reddito dignitoso e stabile manca la possibilità di pagare un mutuo o un affitto per un alloggio adeguato, mancano le forze e la sicurezza per costruire una famiglia, manca la possibilità di costruire una vita indipendente affrancandosi dal sostegno dei parenti.
L’onda lunga della precarietà, d’altro canto, si è senza dubbio inizialmente e con tutta la propria forza infranta contro la fascia d’età più giovane, sta investendo più in generale la totalità delle cittadine e dei cittadini appartenenti al ceto basso come al ceto medio italiano.
Diventa necessario dunque ricostruire un futuro che non sia un incubo popolato da precarietà, sfruttamento e povertà ma una prospettiva capace di soddisfare i bisogni fondamentali e conciliare i ritmi del lavoro con quelli di vita, la possibilità di svolgere un lavoro soddisfacente che permetta al contempo un salario ed una sistemazione dignitosa ed autonoma: in poche parole c’è bisogno di rendere nuovamente possibile immaginare il futuro, per i molti!
Prendiamoci il futuro, senza precarietà!
Oggi l’Italia è il quart’ultimo paese dell’area OCSE per disoccupazione giovanile ed ha una quota di lavoro precario giovanile al 54.7% (contro il 19.8% della media G7 e il 24.6% della media OCSE). Neppure l’istruzione costituisce un ascensore sociale efficace: l’Italia rimane l’unico paese OCSE che accompagna la percentuale più bassa di laureati fra i paesi OCSE con un vantaggio economico comparato per i laureati (rispetto ai redditi dei non laureati) molto più basso della media (fonte: OCSE).
La politica italiana di fronte alla strutturalità e profondità di questa crisi ha fornito soluzioni esclusivamente individuali: «diventare imprenditori di sé stessi», guadagnarsi il successo tramite le proprie qualità: l’Italia è diventato così il paese con il più alto tasso di giovani autoimpiegati dell’UE, ma senza che questo comportasse un rilancio delle condizioni di vita giovanili, ma anzi un peggioramento.
La politica deve tornare a dare risposte universali in materia di welfare e di lavoro, con poche proposte mirate ed efficaci:
- Reddito garantito, su modello della proposta di Reddito di Dignità avanzata da Libera contro le Mafie, Basic Income Network, FIOM e altri, basata su alcuni principi: il reddito dev’essere individuale, sufficiente, congruo rispetto alle competenze al reddito e al lavoro precedente e riservato a tutti i residenti;
Il costo finanziario può essere ipotizzato fra i 15 ed i 24 miliardi di € (il costo combinato degli 80 € + gli sgravi alle imprese usati per drogare la leggera ripresa occupazionale del Jobs Act è di 29 miliardi di €): la copertura finanziaria potrà essere individuata da una conseguente forte razionalizzazione degli ammortizzatori sociali, da una tassazione maggiormente progressiva dei grandi patrimoni, dalla tassazione del gioco d’azzardo e dalla legalizzazione delle droghe leggere; - Contrasto e sanzione normativa per le imprese che delocalizzano: un’altra concausa alla disoccupazione elevata è la facilità con cui imprese e multinazionali possono oggi praticare il cosiddetto «dumping sociale» delocalizzando in paesi esteri e licenziando i dipendenti italiani, un fenomeno particolarmente grave in Brianza. Bisogna rendere queste pratiche economicamente svantaggiose, imponendo la restituzione dei contributi pubblici ricevuti e una sanzione pari ad una percentuale dei profitti ottenuti dall’azienda sul territorio nazionale negli ultimi anni di permanenza;
- Ripristinare l’art. 18 e cancellare le forme contrattuali precarie: il Jobs Act ha rappresentato un formidabile strumento di propaganda drogando le nuove assunzioni tramite gli sgravi fiscali alle imprese, ma rappresenta un ulteriore passo verso la precarizzazione del mondo del lavoro. Bisogna ripristinare l’articolo 18 allargandolo alle imprese con 5 o più dipendenti e ridurre al minimo le diverse forme contrattuali precarie;
Prendiamoci il futuro, con una casa!
Non c’è futuro senza la possibilità di vivere in autonomia, da soli o con la propria famiglia. Mentre il patrimonio immobiliare sfitto italiano è il 22.5% del totale, dato fra i più alti in Europa, e rimane concentrato in poche mani, il diritto alla casa per moltissime persone rimane un miraggio.
L’emergenza sociale giovanile colpisce anche qui molto duramente: se fra i «baby boomers» il 66% usciva di casa fra i 21 ed i 30 anni e solo il 6% dopo i 30 e fra la «generazione x» il rapporto diventava 63% a 8%, per chi è nato dopo il 1980 la situazione si è drasticamente ribaltata: solo il 28% esce di casa fra i 21 e i 30 anni ed invece ben il 57% esce di casa dopo i 30 anni (fonte: Doxa).
Vivere in una stanza singola all’interno di una casa condivisa non è più una prerogativa degli studenti universitari ma è la condizione di vita sempre più frequente per masse di lavoratori precari, giovani e meno giovani: l’età media di chi vive in una stanza singola in affitto è di ben 30 anni, molto oltre l’età media di uno studente universitario e molto oltre l’età in cui questa possa essere considerata una soluzione dignitosa.
La politica ha dato risposte sprezzanti: bamboccioni, mammoni, schizzinosi, sono stati i commenti susseguitisi sulle bocche degli ultimi ministri affrontando il fenomeno. La verità è che le politiche per l’abitazione rappresentano soltanto lo 0.1% della spesa sociale italiana, fanalino di coda anche in questo campo (fonte: Istat).
La politica deve ripartire dall’incremento della spesa sociale sulla casa per il diritto alla casa dei molti, contro il diritto alla speculazione dei pochi, con proposte politiche mirate:
- Incentivare il canone di locazione convenzionato e sanzionare lo sfitto: incentivare i proprietari al canone di locazione convenzionato, tramite agevolazioni e forme di garanzie sull’insolvenza, significa rendere più facile ai singoli o coppie precarie uscire dalla casa dei genitori o dalla stanza condivisa per garantire il diritto alla casa. Al contempo, è necessario sanzionare i grandi proprietari di unità immobiliari sfitte;
- Un piano per un’Edilizia Residenziale Pubblica di qualità: è necessario tornare a realizzare nuovi alloggi ERP, compatibilmente con le esigenze ambientali, favorendone la realizzazione all’interno dei progetti di rigenerazione urbana. Al contempo, non si possono abbandonare gli inquilini ERP oggi spesso in alloggi fatiscenti: è necessario stanziare i fondi per la manutenzione ordinaria il più possibile continua;
- Misure per permettere l’acquisto della prima casa: una casa di proprietà rimane il sogno bello e impossibile per chi è invischiato nella precarietà. Servono politiche più coraggiose per l’accesso al credito e di sostegno a difficoltà nel pagamento delle rate.
Prendiamoci il futuro, solidale!
Non c’è futuro senza solidarietà, non c’è riscatto economico o sociale che possa essere raggiunto da soli, o peggio contro qualche altra categoria o persona.
L’associazionismo costituisce le fondamenta del tessuto sociale che pratica e favorisce quotidianamente la solidarietà nelle città e nei quartieri, tramite i progetti più differenti. Questo patrimonio è irrinunciabile ed è spesso la base da cui si sviluppano pratiche ed esperienze innovative di gestione e cura del bene comune, oltre il binomio pubblico/privato. Favorire pratiche di gestione del bene comune dal basso, rifuggendo la logica della sussidiarietà lombarda o della rinuncia statale ai propri doveri sociali, è una politica fondamentale per un futuro migliore.
L’accoglienza dei migranti è oggi un dovere umanitario. Non ci si può dichiarare soddisfatti per la diminuzione degli sbarchi se questo significa stringere accordi con chi rinchiude i migranti nei lager libici dove la violenza e la tortura sono la normalità. È necessario aprire corridoi umanitari sicuri che tolgano i migranti dal racket della tratta e dagli aguzzini libici e gli garantiscano un viaggio sicuro e dignitoso. Ripensare le politiche di accoglienza significa favorire il modello SPRAR valorizzando i progetti di inclusione culturale e sociale.
Un futuro solidale è un futuro in cui nessuno viene lasciato indietro, in cui vengano abbattute le discriminazioni.