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La credibilità? E quante divisioni ha?

Ogni estate ha i suoi tormentoni, e così ogni stagione politica: la “breve ma intensa” stagione politica montiana ci consegnerà il tormentone della credibilità (meglio della sua riacquisizione): simbolo della cesura fra il circense governo Berlusconiano e l’austero governo Montiano. Anche, e forse paradossalmente sopratutto, dai suoi detrattori: quante volte le critiche al governo Monti hanno avuto come premessa “Certo, ci ha fatto riguadagnare credibilità davanti all’Europa, però…”; ad indicare insomma una positività certa e inconfutabile (relativamente a quel campo).
Ora, che questa riacquisizione effettivamente ci sia stata è vero, e d’altra parte la non-credibilità europea di Berlusconi sembra una precisa scelta di marketing del cavaliere. Le due domande che mi pongo, e che invito a porre, sono però altre: Quanto guadagno comporta in termini concreti la credibilità (1)? E guadagno per chi (2)?
(1) “Il Papa? E quante divisioni ha?” Così rispondeva provocatoriamente Stalin al ministro Francese che gli consigliava di guadagnarsi il favore del Papato; la frase (originariamente di Federico II di Prussia), è passata alla storia come una delle migliori sintesi della RealPolitik. E allora è ugualmente lecito domandarsi, nel contesto politico italiano contemporane(issim)o: “Quante divisioni ha la credibilità”?
La credibilità internazionale, è in sostanza la percezione dell’affidabilità di un paese da parte degli altri paesi. Se sono credibile, gli altri stati avranno fiducia nelle mie promesse, nei miei intenti politici dichiarati, etcetera.
La credibilità dunque ha un proprio ruolo, in particolare all’interno di organizzazioni internazionali come l’Ue e l’Onu, dove le interdipendenze reciproche sono elevate, ma ha un limite evidente: un paese credibile, ma debole, rimane un paese debole; un paese poco credibile, ma forte/egemone, rimane forte/egemone.
Se vi è una relazione fra credibiità e potere, questa è limitata ad alcuni campi e certamente non è direttamente proporzionale. Nessuno ipotizzerebbe che uno scandalo sessuale negli Stati Uniti possa portare ad una variazione del proprio ruolo egemone, come nessuno ipotizzerebbe che un Principe particolarmente credibile del principato di Monaco possa mutare sensibilmente la sua rilevanza. Putin non risponde propriamente all’identikit del Presidente credibile e illibato da scandali, ma sfido a sostenere che questo abbia influenzato realmente la rilevanza regionale/internazionale della Federazione Russa.
Altri generi di credibilità possono avere conseguenze rilevanti, quali ad esempio la credibilità della promessa di difesa di uno stato protettore su uno stato protetto, ma è altra credibilità da quella che interessa il binomio Berlusconi-Monti.
(2) La credibilità non è un concetto astratto, è un concetto relazionale e valido solo se immerso nel reale: io sono credibile grazie a qualcosa agli occhi di qualcuno.
Allora, grazie a quali politiche/indirizzi Monti è credibile davanti a chi? Se la risposta sono le politiche di austerity (corrispettivo economico della austerità nei costumi), agli occhi degli organi e attori politici europei che la propugnano (oggi ancora dominanti anche se si avvertono i primi scricchiolii), possiamo dire, da una prospettiva di sinistra, che è una credibilità di cui faremmo volentieri a meno.
Do you remember Grecia? Nelle elezioni in Grecia del giugno 2012, vinte da Νέα Δημοκρατία, un ruolo fondamentale nella vittoria contro ΣΥΡΙΖΑ lo ha avuto il mantra della “credibilità” delle ricette economiche proposte da Νέα Δημοκρατία agli occhi dell’Europa, recitato dal partito di centro-destra e dagli stessi vertici Europei!
Insomma: se tutto ciò che di positivo che ci ha lasciato il governo Monti è la credibilità, si può dire a mio parere che è una ben magra consolazione.