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il Comune di Monza è Creative Commons!

Altra ottima notizia: a seguito della mozione presentata da Sinistra Ecologia Libertà in Consiglio Comunale a Monza, e dopo la sua approvazione in consiglio a Gennaio, da questi giorni il sito del Comune di Monza è sotto licenza Creative Commons

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Unioni Civili a Monza. Finalmente.

Il 27 Febbraio in Consiglio Comunale è stata approvata una mozione che impegna la giunta ad istituire il registro per le Unioni Civili a Monza. La mozione è stata stesa da Sinistra Ecologia Libertà, che la ha però voluta aprire alle firme di tutti i consiglieri, di maggioranza e minoranza, che condividessero il tema: lo straordinario risultato è stato che questa mozione è arrivata in Consiglio con le firme di 18 Consiglieri, di cui 3 di minoranza.
Come Sinistra Ecologia Libertà vogliamo ripartire da qui: dopo questa campagna elettorale, dopo queste elezioni, è da un gesto semplice ma straordinario che intendiamo ridare senso al nostro impegno politico quotidiano, al progetto politico di Sel.
Siamo la prima città in provincia di Monza e Brianza ad approvare il registro per le unioni civili, a garantire diritti a persone che fino ad oggi se li son visti negare.
Permetteteci in questo un ringraziamento particolare all’associazione Meladailabrianza, la prima associazione lgbtqi della Brianza che esiste da solo un anno ma che in così poco tempo è riuscita a creare una realtà di riferimento e una forte sensibilità culturale verso il tema dell’omosessualità in Brianza; è anche grazie a loro, grazie ai loro continuo lavoro culturale, se questa mozione è stata approvata.
Garantire diritti veri ad individui e lanciare un forte messaggio politico, alla società ed al governo: queste le due anime di questa mozione.
Abbiamo inteso ridare la dignità di uomini pieni a persone che fino ad oggi sono stati considerati solo uomini a metà.
Non sappiamo quante coppie a Monza si iscriveranno al registro, se sarà un successo come a Milano, dove in 5 mesi già 500 coppie si sono iscritte, o se sarà un successo più contenuto: ma le battaglie per i diritti hanno il proprio valore in se stesse, non nella quantità di chi ne usufruisce: ogni discriminazione è ugualmente odiosa se viene subita da una o da migliaia di persone.
Siamo altrettanto consapevoli che i diritti che noi possiamo garantire si limitano all’ambito comunale: è chiaro che per Sel questo è il primo tassello di una battaglia che deve culminare con l’approvazione in parlamento di una legge per le Unioni Civili, per il Matrimonio omosessuale, per il diritto all’omogenitorialità. Speriamo che nei prossimi mesi il prossimo governo se ne occupi.

Alessandro Gerosa – Consigliere Comunale

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Le Unioni Civili a Monza per ripartire, domani.

Aspetto di avere il tempo materiale per riflettere seriamente su queste elezioni e tentarne un’analisi.
Nel frattempo lancio un appello a tutto il popolo del centro-sinistra, a tutti i cittadini monzesi: domani in Consiglio Comunale, all’ordine del giorno vi sarà la discussione e votazione sulla Mozione per il registro delle Unioni Civili a Monza; vorrei che fosse una boccata d’aria fresca nel clima asfissiante di questi giorni, vorrei che fosse l’occasione per gridare che noi ci siamo, rifletteremo sui nostri errori ma non smetteremo mai di lottare e di ottenere conquiste e diritti; vorrei che fosse un momento di gioia per il centro-sinistra e la nostra città e di poterlo festeggiare assieme, perché no, a tanti cittadini fra il pubblico.
Appuntamento a domani, per il consiglio comunale, come sempre dalle 18.30, 2° piano del palazzo del Comune.

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6 di Sinistra

Il sito di Sel nell’ambito del suo particolare “Final Countdown” degli ultimi 10 giorni di campagna elettorale ha pubblicato ieri questo simpatico giochino virale: 6 di Sinistra, ovvero sei elementi (canzone, libro, film, piatto, citazione, parola) per definire il proprio essere di sinistra, o meglio per giocare a farlo.
Queste sono state le mie risposte, le tue?
P.S.= Oggi invece il tema è dedicato ai nonni e alle nonne, seguiamo l’invito a provare “a dare loro un po’ di ascolto, ché di cose da dirci ne hanno tante.”

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I giovani e la Politica attiva…in Acropolis!

Domenica 10 Febbraio in un luogo significativo come l’Arci Acropolis di Vimercate, dalle 17 alcuni giovani candidati a queste elezioni e alcuni giovani amministratori formeranno un insolito “think tank” per discutere in una tavola rotonda di politiche giovanili e del ruolo dei giovani nella politica e nelle principali battaglie del nostro tempo.
Fra i tanti nomi, se l’influenza che mi attanaglia mi farà la cortesia di sparire, vi sarà anche il mio.
A prescindere, un appuntamento molto interessante per chi si interessi del tema o per chi ne sia anche solo incuriosito.

arci

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Facciamoci del male!

Ieri è stato il giorno della proposta sciocc[a] di Berlusconi: dopo “aboliremo l’Ici” del 2008, “rimborseremo l’Imu” del 2013; non un grande sforzo di originalità. Oggi il rilancio sul condono tombale.
E via tutte le restanti forze politiche a cadere nella tela del ragno Berlusconi: ieri ed oggi [quasi] tutti i leader (ma anche i militanti) a sbizzarrirsi su chi trovava la risposta più sagace, lo sberleffo più ridicolizzante. E i programmi? E i progetti, le prospettive, i nodi fondamentali della campagna elettorale dove sono? Sprofondati in un fiume carsico.
Facciamoci del male, insomma: Berlusconi spara la prima cazzata che gli passa per la mente, e invece di liquidare la sua sparata come tale e incalzarlo sul progetto per il paese, gli si va dietro.
L’ennesima applicazione della strategia politica della caciara: il centro-sinistra possiede una visione, o perlomeno possiede più visioni che potranno più o meno diversamente meticciarsi; il centro-destra un reale progetto di governo credibile non lo possiede. La teoria della caciara è la risposta ideale a tale mancanza, di cui Berlusconi è perfettamente consapevole: se il dibattito si sposta su quanto più il Cavaliere sa fare, ovvero spettacolo, creazione di infotainment, allora i rapporti di forza si invertono, il Cavaliere diventa il protagonista indiscusso, brillante ed incalzante, e gli altri inseguono, si limitano a rispondere, con il fiato sempre più corto. Il contrario di quanto accadrebbe se il dibatttito fosse sul futuro del paese, il contrario di quanto esalterebbe la forza della coalizione di centro-sinistra.
Amen.

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La credibilità? E quante divisioni ha?

Ogni estate ha i suoi tormentoni, e così ogni stagione politica: la “breve ma intensa” stagione politica montiana ci consegnerà il tormentone della credibilità (meglio della sua riacquisizione): simbolo della cesura fra il circense governo Berlusconiano e l’austero governo Montiano. Anche, e forse paradossalmente sopratutto, dai suoi detrattori: quante volte le critiche al governo Monti hanno avuto come premessa “Certo, ci ha fatto riguadagnare credibilità davanti all’Europa, però…”; ad indicare insomma una positività certa e inconfutabile (relativamente a quel campo).
Ora, che questa riacquisizione effettivamente ci sia stata è vero, e d’altra parte la non-credibilità europea di Berlusconi sembra una precisa scelta di marketing del cavaliere. Le due domande che mi pongo, e che invito a porre, sono però altre: Quanto guadagno comporta in termini concreti la credibilità (1)? E guadagno per chi (2)?
(1) “Il Papa? E quante divisioni ha?” Così rispondeva provocatoriamente Stalin al ministro Francese che gli consigliava di guadagnarsi il favore del Papato; la frase (originariamente di Federico II di Prussia), è passata alla storia come una delle migliori sintesi della RealPolitik. E allora è ugualmente lecito domandarsi, nel contesto politico italiano contemporane(issim)o: “Quante divisioni ha la credibilità”?
La credibilità internazionale, è in sostanza la percezione dell’affidabilità di un paese da parte degli altri paesi. Se sono credibile, gli altri stati avranno fiducia nelle mie promesse, nei miei intenti politici dichiarati, etcetera.
La credibilità dunque ha un proprio ruolo, in particolare all’interno di organizzazioni internazionali come l’Ue e l’Onu, dove le interdipendenze reciproche sono elevate, ma ha un limite evidente: un paese credibile, ma debole, rimane un paese debole; un paese poco credibile, ma forte/egemone, rimane forte/egemone.
Se vi è una relazione fra credibiità e potere, questa è limitata ad alcuni campi e certamente non è direttamente proporzionale. Nessuno ipotizzerebbe che uno scandalo sessuale negli Stati Uniti possa portare ad una variazione del proprio ruolo egemone, come nessuno ipotizzerebbe che un Principe particolarmente credibile del principato di Monaco possa mutare sensibilmente la sua rilevanza. Putin non risponde propriamente all’identikit del Presidente credibile e illibato da scandali, ma sfido a sostenere che questo abbia influenzato realmente la rilevanza regionale/internazionale della Federazione Russa.
Altri generi di credibilità possono avere conseguenze rilevanti, quali ad esempio la credibilità della promessa di difesa di uno stato protettore su uno stato protetto, ma è altra credibilità da quella che interessa il binomio Berlusconi-Monti.
(2) La credibilità non è un concetto astratto, è un concetto relazionale e valido solo se immerso nel reale: io sono credibile grazie a qualcosa agli occhi di qualcuno.
Allora, grazie a quali politiche/indirizzi Monti è credibile davanti a chi? Se la risposta sono le politiche di austerity (corrispettivo economico della austerità nei costumi), agli occhi degli organi e attori politici europei che la propugnano (oggi ancora dominanti anche se si avvertono i primi scricchiolii), possiamo dire, da una prospettiva di sinistra, che è una credibilità di cui faremmo volentieri a meno.
Do you remember Grecia? Nelle elezioni in Grecia del giugno 2012, vinte da Νέα Δημοκρατία, un ruolo fondamentale nella vittoria contro ΣΥΡΙΖΑ lo ha avuto il mantra della “credibilità” delle ricette economiche proposte da Νέα Δημοκρατία agli occhi dell’Europa, recitato dal partito di centro-destra e dagli stessi vertici Europei!
Insomma: se tutto ciò che di positivo che ci ha lasciato il governo Monti è la credibilità, si può dire a mio parere che è una ben magra consolazione.

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Con Don Gallo all’ISA

La sala è quella dell’Isa di Monza. L’occasione è un incontro all’interno di un percorso organizzato dall’istituto d’arte sul tema della legalità. L’ospite è una di quelle figure che realmente possono far compiere una riflessione adeguata e fuori dagli schemi sul tema della legalità: Don Gallo.
L’incontro è un vero e proprio monologo del prete genovese, che spazia ovunque, ma soprattutto sulla sua chiesa (che non vuole sia un’altra chiesa, ma una chiesa altra, come ama ripetere) e sulle sue esperienze di vita, più qualche (numerosa) riflessione sulla situazione politica attuale.
La prima particolarità di cui si rimane colpiti è la capacità tutta peculiare ed insolita di coniugare temi e tesi tipiche della cultura altermondista e movimentista, con l’intera “cassetta degli attrezzi” ecclesiastica, composta da gestualità accentuate, movenze plastiche, toni di voce continuamente modulati, ma anche da parabole e giaculatorie. Per chi come me è abituato ai contenuti ma non ai mezzi comunicativi, il risultato è certamente inusuale ma di forte impatto.
Così la giaculatoria declamata è “Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza. Agitatevi perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra forza” (no, mi rifiuto di scrivere di chi sia, se non la riconoscete per penitenza la dovete cercare su Google).
Il racconto di un corteo del ’68 con Mario Capanna diventa una parabola evangelica: ad un manifestante in corteo, che esasperato dalle botte si lamentava con Capanna che il potere è forte, Mario rispondeva “No! Il potere non è forte, è fortissimo! E’ fortissimo perché noi rimaniamo chini, piegati verso terra […]”; ora, non so se Capanna abbia effettivamente pronunciato quelle parole, e non è neppure il fulcro del discorso: l’esperienza si fa parabola, con personaggi del tutto insoliti.
Anche le barzellette, impiegate particolarmente per deridere quanto nella chiesa Don Gallo combatte, seguono la struttura di una parabola: il conservatorissimo Giuseppe Siri, uno dei cardinali succedutisi a Genova durante il servizio di Don Gallo, finisce al centro di una barzelletta dove, trovandosi in paradiso, il Papa vede il cardinale Siri giocare da solo a pallone, cerca di salutarlo ma non ottiene risposta, al ché viene in suo soccorso San Pietro: “E’ convinto di essere in paradiso solo lui”, gli spiega. Così la barzelletta si fa parabola, la parabola si fa strumento di satira per riformare la chiesa.
Tanti sono i ricordi a succedersi: il vecchio ed austero salesiano che gli predice il futuro “Tu non sarai mai papa, con il tuo nome!” (Papa Gallo, pappagallo), che Don Gallo impiega per spiegare sarcasticamentela sua carriera fermatasi al titolo di “Vicario Parrocchiale”; le non nascoste antipatie per il “pastore tedesco” (Ratzinger), con il ricordo di papa Giovanni XIII a fare da controaltare; il racconto di come, interrogato da uno dei vescovi di Genova sui propri santi maggiormente venerati, esprimesse la sua predilezione per “i sette santi”, che con stupore del Vescovo si rivelavano però essere non già i sette santi fondatori dell’ordine dei servi della beata maria vergine, ma “i sette santi di Reggio Emilia” (anche qui, mi rifiuto di spiegare chi siano, se non lo sapete penitenziagite tramite google); il g8 e Piazza Alimonda; gli infiniti litigi e duelli con propri superiori ed eguali in Santa Romana Chiesa. Ma anche molte feroci e appassionate considerazioni politiche: lo sfruttamento del mondo da parte dell’occidente, un altro modello di sviluppo, la lotta No Tav, la vergogna dell’immigrazione, la condizione dei carcerati italiani, la legalizzazione delle droghe leggere, la parificazione sessuale delle donne, la riforma della chiesa.
Finito l’intervento/comizio, mentre gran parte della gente, me compreso, si dirigeva verso il luogo ospitante la cena, Don Gallo si sarebbe trattenuto per firmare ogni singolo libro che gli sia stato presentato: una fortuna per tutti coloro che avevano acquistato un suo libro al momento o che lo avevano portato da casa (ed una sfortuna per chi doveva aspettare la cena, graziato fortunatamente da un’ampia serie di stuzzichino ed antipasti!).
Ed è proprio la cena con Don Andrea Gallo, forse, ad essere il momento ancora più interessante della giornata; forse proprio perché, avendo avuto l’occasione straordinaria di sedermi vicino a lui ed ascoltare così i suoi dialoghi, si ritrova una dimensione ancora più autentica e non più mediata da quella “cassetta degli attrezzi” di cui sopra, e allora più che mai realizzi di avere di fronte a te una immensa fonte storica, capace di spaziare per ogni argomento. Molto tempo dedicherà, sollecitato da Rosario Montalbano, a parlare del grande Faber, di cui è stato uno degli amici più cari: una frase detta poco prima che morisse “Sai perché ti sono amico? Perché anche se sei prete non mi vuoi per forza mandare in paradiso”; il rapporto molto profondo rimasto con Dori Ghezzi e con Cristiano, senza nascondere anche gli aspetti più duri e meno eroici del cantautore, lui che come pochi altri poteva capire il senso delle sue canzoni, avulso dallo sciatto buonismo perbenista che avvolge oggi De André. Ricordi e anche e sopratutto discussioni sulla sua lotta per una “chiesa altra”, ricordi di altri presbiteri impegnati come lui, ma anche spunti teologici molto interessanti, come la questione del ruolo delle donne all’interno della chiesa. In chiusura, c’è anche spazio per il “dubbio” sulla morte di papa Luciani, fra la testimonianza diretta di un amico regista che, provando ad indagare nel suo paese natale, era stato prontamente “gentilmente invitato” ad andarsene dalle forze dell’ordine (?!).
Anche una chicca quando scopre che sono di Sel (dopo avermi fatto i complimenti per la mozione per la distribuzione di preservativi nelle scuole): “Sai che Vendola è un mio pupillo? L’ho conosciuto trent’anni fa, da Costanzo, quando era giovane e sconosciuto. Mi piacque subito. E’ sempre stato molto religioso, ed era molto legato a Don Tonino Bello, il Vescovo di Terlizzi, con cui ne parlai anche molto bene.”

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Riflessione (lunga) sul conflitto Maliano

Il conflitto in Mali, vuoi per il periodo nel quale è scoppiato, vuoi per la tipica tendenza giornalistica italiana a snobbare i temi di politica estera, sta, per così dire, strisciando al di sotto del dibattito pubblico nazionale.
Il governo italiano dopo un iniziale, un poco inquietante silenzio, ha deciso di contribuire con l’invio di alcuni addestratori militari, e un generico “supporto logistico”, che nelle ultime ore sembrerebbe includere anche l’impiego di alcuni droni militari. Questo, senza coinvolgere il parlamento italiano e approfittando di fatto dell’inattività pre-elettorale.
Ma partiamo dal principio: La Francia interviene militarmente in Mali l’11 Gennaio, in seguito ad una richiesta del governo Maliano. La stessa Francia che nel 2011 inaugurò l’intervento militare internazionale in Libia.
Anche se il Presidente della Repubblica è mutato, da Sarkozy ad Hollande, non paiono mutati gli indirizzi in politica estera della Francia, intenzionata a giocare una politica “di potenza”, aggressiva, in particolare nella regione nord-africana del Maghreb e del Sahel: una politica si può ipotizzare mossa da molteplici interessi, ovvero
(1) mantenere dei rapporti economico-commerciali privilegiati con i paesi della regione, in buona parte proprie ex-colonie (la ei fu Africa Occidentale Francese, ovvero Mauritania, Niger, lo stesso Mali, l’Algeria, ma anche Senegal, Ciad e Burkina-faso, tutti paesi dove la Francia mantiene dei contingenti militari), caratterizzati da tipiche pratiche neocolonialiste. E’ facile individuare come il Mali sia l’epicentro geografico di una serie di interessi economici francesi in Mauritania (dove la Total estrae petrolio da 7 anni), in Niger (fondamentale fonte di Uranio per le centrali francesi tramite Areva e EDF, e dove è di prossima costruzione la seconda miniera d’Uranio più grande al mondo) e l’Algeria (primo partner commerciale francese e paese molto ricco di gas); scontato che lasciare dunque il Mali (fra l’altro alleato storico della Francia) o semplicemente fallire, nel significato proprio di stato fallito, o in mano ad un nuovo governo ostile di stampo fondamentalista islamico, porrebbe una seria ipoteca sulla stabilità regionale e gli interessi economici francesi.
(2) di prestigio europeo ed internazionale: la Francia, complice anche uno storico e mai del tutto sopito orgoglio patriottico, ma anche una più prosaica e diffusa volontà di affermazione, può solo puntare sulla politica estera per poter rivendicare un proprio ruolo egemone in Europa: la crisi economica che colpisce anche la Francia la condanna, sul versante economico, a un ruolo gregario rispetto alla sempre più evidente egemonia tedesca; il versante della politica estera (e dunque del potere militare) diventa il campo dove esercitare e guadagnare prestigio e la propria egemonia a livello regionale (europeo), e preservare il proprio ruolo di attore rilevante nello scacchiere degli Stati a vario titolo e forma interessati nel continente africano.
(3) distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica interna (francese) dal problema economico e dalle difficili riforme in previsione, secondo uno dei metodi più antichi ma efficaci della storia dell’umanità, ovvero la coagulazione della popolazione tramite l’individuazione di un nemico comune. Non a caso il frame riproposto è quello della guerra al terrorismo Al-Qaedista, aggravato dalla minaccia diretta sul territorio francese.
Il contesto dell’intervento francese, però, pare molto più complesso.
Dal conflitto libico, nella realtà dei fatti, la Francia non uscì particolarmente rafforzata sul piano del prestigio internazionale, dimostrandosi sostanzialmente inadeguata al compito arrogatosi di risolutrice del conflitto; a risultare fondamentale si rivelò, fatto per nulla strano, l’intervento militare statunitense: gli Stati Uniti non temettero di di farlo pesare, in forma anche alquanto esplicita, nei confronti della Francia e più in generale dei paesi europei al fianco dell’Europa (sarebbe interessante ma troppo dispersivo riflettere sulla sovrapposizione avvenuta fra aspirazioni francesi in Europa e rapporto fra Europa e Usa). L’ammissione implicita da parte della Francia di questo fallimento avvenne con la cessione della gestione dell’intervento militare sotto il controllo NATO, dunque degli Stati Uniti.
La guerra civile libica ebbe un altro effetto rilevante ai fini dell’attuale conflitto Maliano: all’interno di quell’entità magmatica, indefinita, e spesso mitizzata dalla stampa occidentale che erano i “ribelli libici” al regime di Gheddafi, una parte se non maggioritaria consistente era composta da integralisti islamici contigui alle posizioni Al-Qaediste. Sono noti a tutti il contributo ingente e fondamentale ai fini del conflitto portato ai ribelli, in termini di armamenti, da parte proprio di Francia e NATO. Proprio questi importanti contributi paiono aver permesso ad Al-Qaeda tramite le milizie ad essa contigue (il lifg, Lybian Islamic Fighting Group) una nuova importante fase di espansione, realizzatasi nel medio-oriente con la presenza sempre più rilevante di forze integraliste islamiche nella fsa (Free Syrian Army) e in Africa proprio con l’aggravarsi della guerra civile che interessa il Mali, in cui nel Nord del paese i tuareg tradizionalmente combattenti per l’indipendenza si sono alleati, ed alcuni sostengono siano stati marginalizzati, con l’Al-Qaeda In Maghreb.
Entrambi gli eventi considerati qui sopra hanno avuto una notevole ricaduta sull’intervento militare francese odierno in Mali.
Difatti la Francia, sebbene abbia espresso la convinzione di chiudere celermente il conflitto (sintomatico è stato il celere annuncio della riconquista di Konna, poi smentito sia dagli integralisti che dai francesi), ha immediatamente cercato il sostegno statunitense, il quale non ha mancato in un primo momento di farsi desiderare, per poi intervenire avallando il frame della guerra al terrorismo, ma limitando il proprio intervento al campo aereo; d’altra parte neppure gli Usa possono ignorare i propri interessi in Africa. Particolare fra l’altro come la Francia abbia iniziato autonomamente il conflitto, forzando l’interpretazione di una risoluzione Onu, per poi però richiedere da subito l’intervento del resto dei paesi europei con la formula del “non lasciateci soli nella lotta al terrorismo”. L’unilateralismo francese può spiegarsi con la volontà di mantenere rigido il proprio “diritto di prelazione” sul territorio maghrebino, anche nella consapevolezza, evidente innanzitutto alla Francia, di non potere gestire il conflitto da sola. Insomma, l’eliseo sembra dire: tutta l’Europa ha il dovere di combattere il terrorismo, ma la sola Francia ha il diritto di iniziativa e di comando, perlomeno sul suolo africano. Altra ipotetica spiegazione della scelta francese è che in realtà la Francia non volesse questo conflitto. O che, meglio, lo avesse previsto ben più oltre. Questo spiegherebbe la gran fretta francese e le pressanti richieste di sostegno immediato. Da notare come le due interpretazioni non si contraddicano, anzi credo siano entrambe almeno parzialmente vere.
Ma da quali elementi l’intervento è stato costretto? Pare sia proprio qui che rientrano in gioco i ribelli libici/Al-Qaeda in Maghreb, che hanno sconvolto gli equilibri delle fazioni in gioco nella guerra civile Maliana, accellerando notevolmente il crollo del debolissimo regime di Bamoko.
Insomma, per uno dei tanti paradossi della storia, la Francia interviene per contrastare il dilagare dei ribelli, i quali hanno avuto la meglio nel conflitto grazie agli armamenti procurati…dalla Francia!
Se dunque vi è un colpevole dell’intervento francese in Mali, questo è la Francia stessa, che ha prima finanziato i nemici del governo Maliano proprio alleato, mettendo la popolazione a rischio di essere assoggettata ad un fondamentalismo islamico estraneo alla propria tradizione, e si è fatta cogliere poi impreparata dall’evolversi degli eventi.
A nota di tutto, appare molto ambigua la posizione dell’Unione Africana, la quale attualmente pare volenterosa di difendere il governo Maliano, parte integrante di essa, senza però molte possibilità di portare contributi concreti, preferendo così lasciar fare alla Francia, mostrando una evidente debolezza politica: l’UA si oppose fermamente alla guerra di Libia, che come abbiamo visto è una delle cause della degenerazione dell’attuale conflitto, davanti al quale però l’UA non è stata in grado di fare altro che appellarsi alla Francia, rinunciando a formulare qualsiasi critica (a ben vedere più che giustificata) sul modus operandi europeo e le sue conseguenze.
Insomma, chi ritiene questo intervento giusto, perché invocato dagli stessi paesi africani, o perché necessario per “la guerra al terrorismo”, a mio parere è in torto in quanto il tracollo dello stato Maliano è da imputarsi alla stessa Francia; ora, a emergenza in corso, la guerra non può essere la soluzione per tanti motivi:
(1) la durata di un conflitto, in un territorio adatto alla guerriglia come quello Maliano, è assolutamente incerta;
(2) in guerra, perlomeno nella guerra contemporanea, è noto che la grandissima parte dei morti sono morti civili, in particolare le categorie più fragili come quella femminile e infantile: chi si prende la responsabilità di operare, o sostenere, un conflitto armato, deve anche prendersi la responsabilità di tutti quei morti che sui media non vengono quasi mai menzionati, divorati nel tritacarne del frame della guerra umanitaria;
(3) come dimostrano i conflitti in Afghanistan, Iraq, Libia, etcetera, la guerra aperta ad Al-Qaeda e soci ha fin’ora foraggiato ed aiutato la propaganda fondamentalista, che si espande sulla pelle delle popolazioni civili che vengono bombardate ed invase, che riesce ad egemonizzare molti schieramenti ribelli grazie alla propria organizzazione ed al proprio arsenale (che è ciò che sta accadendo in Siria e anche, appunto, in Mali); questo porta ad altri atti terroristici (il primo sta già avvenendo in Algeria con un altissimo numero di ostaggi), altro terrore, altra guerra al terrore, in una spirale involutiva sempre più buia e sporca di sangue.
(4) non dimentichiamoci che il conflitto maliano non è solo un conflitto fra stato (debolissimo) e integralismo islamico: anzi, questo è un secondo livello del conflitto, che è andato a sovrapporsi al primo, un tipico conflitto inter-etnico all’interno del tipico stato africano costruito col righello; intervenire e favorire il conflitto significa favorire un conflitto etnico, sulle cui conseguenze in Africa abbiamo sufficienti testimonianze.
Quale soluzione, allora? Certo è che la soluzione diplomatica sarebbe stata più semplice senza questo grado di debolezza dello stato Maliano, e grado di forza del fondamentalismo islamico.
Nella mia inadeguatezza a possedere risposte ad una domanda così complessa, il mio parere è che la soluzione a questo conflitto, permettete il paradosso, non può limitarsi a questo conflitto, ma dovrebbe comporsi d’interventi, e di cambi di mentalità, allargati a tutto il Sahel e tutta l’Africa: favorire il dialogo e la diplomazia, rafforzando gli attori africani piuttosto che compiendo ingerenze come attori europei, intensificando gli aiuti umanitari, terminando l’orrido neocolonialismo che condanna molte popolazioni africane alla miseria e molti stati africani ad una intrinseca debolezza.

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Tris d’assi! Tre Mozioni di Sel approvate in Consiglio

Ieri sera sono state approvate tre mozioni presentate da Sinistra Ecologia Libertà negli scorsi mesi: una Mozione per l’educazione ad una sessualità consapevole, una Mozione di adesione ad Audis, Associazione Aree Urbane Dismesse, ed una Mozione per la sostituzione delle note di copyright sul sito del comune con quelle di Creative Commons.
Sinistra, Ecologia, Libertà, insomma.
Sinistra perché crediamo che l’oscenità non sia parlare di sesso, ma che il sesso ed il profilattico possano ancora essere un tabù nel 2013: questa mozione è un passo importante per impegnare il comune in prima persona ed assieme ad altre realtà, in progetti che nelle scuole superiori educhino ad una reale sessualità consapevole: sessualità consapevole significa non impartire ai ragazzi dei modelli, ma dargli gli strumenti per poter vivere pienamente e serenamente il proprio rapporto con il sesso. Dato che, nel tema della prevenzione sessuale, un ruolo fondamentale è svolto dai profilattici, ci è sembrato naturale impegnare anche il Comune a promuovere presso la provincia e i presidi l’installazione di distributori di preservativi, preferibilmente a prezzo calmierato o gratuito, per facilitarne il reperimento da parte dei ragazzi.
Ecologia perché aderire ad Audis significa entrare in rete con le migliori elaborazioni italiane e internazionali in tema di rigenerazione delle aree dismesse, significa poter usufruire (e contribuire) a specifiche competenze tecnico-scientifiche che ci consentiranno di elevare la qualità dei nostri interventi sulle aree dismesse monzesi, come hanno già fatto alcune delle maggiori città italiane che aderiscono ad Audis (Venezia, Roma, Firenze, Milano, Napoli, etcetera).
Libertà perché la liberazione dei saperi è uno dei nostri obbiettivi e sostituendo le note di copiright sul sito del comune con quelle creative commons andiamo a compiere un altro tratto di percorso lungo questa strada. Liberare i documenti e materiali presenti sul sito del comune perché vogliamo massimizzare la diffusione e l’accesso alle sue pubblicazioni affinché i cittadini possano accedervi non solo in maniera passiva (ovvero come ricevitori dell’informazione che contengono) ma anche in maniera attiva (ovvero ridistribuendo a loro volta le informazioni su canali diversi e possibilmente migliorandole, arricchendole o cambiandone la veste per essere disponibili su canali inizialmente non previsti).